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Chirurgia VascolareNews

Arteriopatia Aorto-Iliaco-Femorale

By 25 Giugno 2014Luglio 31st, 2014No Comments

DEFINIZIONE: L’arteriopatia obliterante è caratterizzata dal progressivo restringimento delle arterie fino all’ostruzione completa delle stesse. I distretti maggiormente interessati sono: il distretto aorto-iliaco; femoro-popliteo e carotideo.

FREQUENZA: ne è colpito circa il 20% della popolazione generale dai 65 ai 74 anni ed è più frequentemente colpito il sesso maschile.

CAUSE: la causa più frequente è rappresentata dall’aterosclerosi.

CLINICA ED EVOLUZIONE NATURALE DELLA MALATTIA: Negli stadi iniziali la malattia limita la deambulazione, causando durante la marcia dolori crampiformi, a sede diversa a seconda del tratto arterioso interessato. Successivamente, se la malattia progredisce, i dolori compaiono a riposo (specie la notte) fino alla comparsa di lesioni trofiche (che vanno dalle piccole lesioni digitali fino a quadri di gangrena), quindi può progredire fino a comportare la perdita di funzionalità dell’arto/i interessato/i dalla malattia. L’evoluzione della malattia con il supporto della terapia medica e comportamentale del paziente può essere arrestata agli stadi precoci, addirittura la sintomatologia dolorosa durante la deambulazione (claudicatio) può migliorare non solo con l’ausilio dei suddetti presidi, ma anche e soprattutto con l’intensa e quotidiana deambulazione. Talvolta, nonostante tutti questi accorgimenti l’evoluzione della malattia può essere bruscamente accelerata da fenomeni acuti intercorrenti, quali la trombosi (occlusione) dell’arteria malata (aorta, vasi iliaci e vasi femorali) o l’embolia (coaguli che si possono distaccare da placche irregolari o da aneurismi periferici e/o dell’aorta che occludono vasi più piccoli).

In entrambi i casi il brusco arresto di flusso sanguigno a valle dell’ostruzione impone un intervento d’urgenza chirurgico/medico (con farmaci che sciolgono il trombo/embolo) al fine di tentare di salvare l’arto/i colpito/i.

DIAGNOSI: la diagnosi si basa sulla sintomatologia caratterizzata dalla difficoltà a deambulare manifestandosi dolore tipicamente crampiforme a carico di uno o entrambi gli arti inferiori durante la marcia e mediante indagini diagnostiche quali: doppler CW; eco color doppler, angiografia.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO: Le strategie terapeutiche che si possono effettuare variano a seconda della clinica del paziente (sintomatologia, età, stato e funzionalità di tutti gli organi ed apparati, con particolare attenzione a quelli renale, cardiaco, cerebrale e respiratorio) e del distretto/i arterioso/i ammalati.

Pertanto la decisione se trattare o meno una arteriopatia ostruttiva aorto-iliaco-femorale avviene dopo la valutazione delle caratteristiche dell’arteriopatia stessa e mediante tutte le indagini necessarie a valutare lo stato di salute generale del paziente. Se alla fine dell’iter diagnostico non si ritiene il paziente suscettibile di trattamento è raccomandata comunque una sorveglianza dell’arteriopatia stessa, stando bene attenti ad eventuali sintomi che possono essere l’avviso dell’evoluzione della malattia. Importante, inoltre, effettuare periodicamente indagini, quali l’eco color doppler, da eseguirsi a scadenze definite dallo specialista.

TIPOLOGIE DI TRATTAMENTI: Attualmente le possibilità di trattamento dell’arteriopatia degli arti inferiori (oltre alla terapia medica da sola o in associazione alle strategie di seguito descritte) sono rappresentate da:

  1. intervento chirurgico tradizionale: la strategia chirurgica consiste nel ripulire il/i tratto/i di arteria malati (tromboendoarterectomia) o nel sostituire o by-passare tratti di arteria malati con protesi sintetica, compatibile con i tessuti umani, il cui impianto potrà comunque comportare complicanze immediate e/o a distanza tra cui le più probabili sono l’infezione e/o dilatazione, eventi che comporterebbero l’ulteriore sostituzione della protesi con altro materiale sintetico analogo o, ad esempio, con tessuti autologhi (vene).

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COMPLICANZE DEL TRATTAMENTO CHIRURGICO TRADIZIONALE

L’intervento può comportare, anche se eseguito nel pieno rispetto e conoscenza delle strategie e tecniche chirurgiche/endovascolari più attuali e standardizzate, molteplici complicanze, distinguibili in precoci e tardive.

Le principali delle quali sono, anche se non uniche:

COMPLICANZE INTRAOPERATORIE/POSTOPERATORIE IMMEDIATE

  • Morte, la cui incidenza si è attualmente ridotta al di sotto del 5%, ma che aumenta proporzionalmente con l’aumentare dei fattori di rischio (età avanzata, compromissione degli apparati cardiaco, respiratorio, cerebrale, renale).

  • Emorragia perioperatoria, circostanza che può essere più o meno grave, comportando talvolta la necessità di emotrasfusione con i rischi infettivi connessi o di reintervento.

  • Shock da declampaggio aortico, talora spiccato tale da provocare la morte del paziente.

  • Paraplegia (paralisi degli arti inferiori), per la presenza di arterie midollari con anomalie anatomiche di origine e decorso.

  • Complicanze gastrointestinali rappresentate dall’ileo (blocco intestinale) ostruttivo/dinamico, colite ischemica per la quale può rendersi necessaria una colostomia talvolta definitiva e la pancreatite. Suddette complicanze possono essere suscettibili di terapia medica o chirurgica.

  • Splenectomia di necessità per lesione accidentale della milza.

  • Embolia o trombosi dell’albero arterioso periferico o della protesi. Tale complicanza può determinare nella chirurgia addominale quadri che vanno dall’ischemia viscerale all’ischemia di uno o entrambi gli arti inferiori. Tali evenienze richiedono interventi aggiuntivi finalizzati al tentativo di ripristinare la circolazione nei distretti ischemici.

  • Disturbi della funzione sessuale (eiaculazione retrograda, impotenza erettile). Tale disturbo può essere permanente.

  • Deiscenze, sepsi e raccolte ematiche o linfatiche in sede di ferite chirurgiche che non sempre regrediscono con adeguato trattamento conservativo e/o chirurgico.

  • Insufficienza renale acuta (incidenza intorno al 1-2%) che può comportare la necessità di una dialisi transitoria o permanente.

  • Complicanze respiratorie (atelettasia, polmonite, versamento pleurico) che possono richiedere una tracheostomia.

  • Improvvisi ed imprevedibili aritmie o arresti cardiocircolatori talora tali da provocare la morte del paziente. Angina o infarto miocardico che possono essere anche mortali.

  • Emorragia cerebrale o in altra sede in corso di infusione di sostanze atte a sciogliere i coaguli.

  • Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare.

  • Sindrome da rivascolarizzazione.

  • Reazioni avverse al mezzo di contrasto, utilizzato per il controllo angiografico intraoperatorio, fino allo shock anafilattico.

COMPLICANZE TARDIVE (ANCHE A DISTANZA DI ANNI)

  • Laparocele, che talvolta richiede correzione chirurgica.

  • Trombosi protesica, ovvero l’occlusione della protesi con improvviso arresto del flusso sanguigno a valle che può avere luogo nell’immediato post operatorio o a distanza di tempo (anche anni) e per la quale può rendersi necessaria anche l’amputazione.

  • Infezione protesica: (evento che si verifica con maggior frequenza in presenza di lesioni trofiche preesistenti all’intervento) tale evento è particolarmente grave specie nel distretto aorto/iliaco; si può manifestare a distanza di anni e può essere legato a infezioni anche banali contratte successivamente rispetto all’intervento chirurgico, quali talune dell’apparato respiratorio, urinario, o del cavo orale o successivi interventi chirurgici sull’addome e che comporta l’ulteriore sostituzione della protesi con altro materiale sintetico analogo o, ad esempio, con tessuti autologhi (vene) o mediante bypass extraanatomici. Talvolta possono manifestarsi delle fistole ovvero comunicazioni tra protesi e strutture circostanti (duodeno, vena cava…) quadri normalmente legati ad infezione.

  • Pseudoaneurismi: ovvero dilatazioni del vaso arterioso dell’aorta a livello delle anastomosi vascolari eseguite per l’impianto della protesi. In tali situazioni può essere necessaria la sostituzione di parte o tutta la protesi precedentemente impiantata con altro materiale sintetico analogo o, ad esempio, con tessuti autologhi (vene).

  1. trattamento endovascolare: consiste nel dilatare il tratto di arteria mediante accesso percutaneo, quindi senza l’incisione chirurgica della cute, lasciando eventualmente nella zona trattata un dispositivo (stent) che serve a mantenerla dilatata. La procedura avviene sotto controllo di apparecchiature radiologiche.

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COMPLICANZE DEL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE

L’intervento può comportare, anche se eseguito nel pieno rispetto e conoscenza delle strategie e tecniche chirurgiche/endovascolari più attuali e standardizzate, molteplici complicanze, distinguibili in precoci e tardive.

Le principali delle quali sono, anche se non uniche:

COMPLICANZE PRECOCI (DURANTE O SUBITO DOPO LA PROCEDURA)

  • impossibilità di completare la procedura per vari motivi: impossibilità di procedere con gli strumenti necessari alla dilatazione del vaso (per calificazioni o tortuosità delle arterie di accesso, rottura delle arterie di accesso…); distacco di trombi con eventuali embolie; dissecazione delle arterie con conseguente possibile trombosi. In alcuni casi, ove non sia possibile procedere alla correzione di tali complicanze con metodiche endoluminali si deve procedere all’immediata effettuazione dell’intervento chirurgico tradizionale (ad esempio nel caso di rottura o dissecazione dell’aorta o dei vasi iliaci) per riparare tali complicanze.

  • Tossicità o reazioni allergiche impreviste al mezzo di contrasto utilizzato per la procedura endoluminale, che possono determinare conseguenti danni alla funzione del rene o reazioni allergiche di varia gravità fino al rarissimo shock anafilattico che può comportare la morte.

COMPLICANZE TARDIVE (ANCHE A DISTANZA DALLA PROCEDURA)

  • riocclusione dell’arteria sottoposta a trattamento endovasale per restenosi o trombosi

  • rarissimi sono i casi di infezione a livello dell’accesso percutaneo o a livello dei dispositivi (stent) utilizzatri per mantenere pervia l’arteria sottoposta alla procedura.

  • Infezioni in sede di chiusura ad opera di dispositivi pecutanei di sutura dell’arteria (es. perclose).

Occorre inoltre precisare che durante l’intervento si può rendere necessario il trattamento di patologie concomitanti il cui riscontro si può verificare anche al momento dell’esecuzione dello stesso (ad esempio neoplasie del tratto gastrointestinale, urogenitale, calcolosi della colecisti, ernie, stenosi di arterie viscerali);

DOPO L’INTERVENTO

  • E’ indispensabile, al fine di prevenire tali complicanze, che il paziente si sottoponga a periodici controlli clinici, ecografici, e radiologici decisi dallo specialista.

  • Una volta superato l’intervento è fondamentale che il paziente segua la terapia consigliata, che non è rapresentata solo dall’utilizzo dei farmaci prescritti ma anche da un adeguato stile di vita, tenendo presente che trattandosi di patologia aterosclerotica, questa interessa tutti i distretti vascolari (cuore, cervello, reni, arti) con alta potenzialità evolutiva e che pertanto necessita di controlli periodici.

  • Il paziente può condurre una vita normale sia lavorativa sia di relazioni sociali sia di attività fisica compatibilmente con l’età ed eventuali altre malattie.

Perché sottoporsi ad intervento chirurgico?

Da quanto detto fino ad ora è evidente che il trattamento chirurgico/endovascolare rappresenta la strategia più efficace qualora la terapia medica non sia più in grado di prevenire o limitare l’evoluzione della malattia e le eventuali complicanze della patologia alle quali abbiamo fatto prima menzione.

In particolare per l’arteriopatia aorto-iliaco-femorale i dati in letteratura sono ormai concordi nel ritenere che tutti quei presidi farmacologici oggigiorno a nostra disposizione, capaci di rendere più fluido il sangue, siano meno efficaci del trattamento chirurgico/endovascolare nei casi di comparsa dei sintomi dolorosi a riposo, di lesioni trofiche o claudicatio che limita fortemente la deambulazione.