Skip to main content
NewsReumatologia

Arterite di Horton

By 23 Luglio 2014Febbraio 23rd, 2015No Comments

L’arterite giganto cellulare, detta arterite di Horton o arterite temporale,  fa parte delle vasculiti dei grossi vasi; tra tutte le malattie infiammatorie che interessano i vasi arteriosi, è senza dubbio, la più frequente. E’ una malattia che colpisce dopo i 50 anni; la media dell’età dei pazienti affetti da questa malattia  è di circa  73 anni.  
Il rapporto donne uomini e a favore delle donne di circa 2 a 1. Questa malattia è strettamente correlata a un’altra malattia infiammatoria  di frequente riscontro: la polimialgia reumatica.  Circa il 16-21% dei pazienti con polimialgia reumatica sviluppa una arterite giganto cellulare e il 40-60% dei pazienti con arterite giganto cellulare ha anche una polimialgia reumatica. Proprio per questa importante correlazione tra queste due malattie  molti  esperti ritengono che queste siano, in effetti, solo una manifestazione clinica diversa di una stessa entità patologica.
L’arterite giganto cellulare interessa prevalentemente i rami arteriosi che nascono dall’arco dell’aorta e, in particolar modo, i vasi extracranici. Proprio questa sua predilezione è alla base di un altro nome che spesso viene dato a questa malattia: arterite temporale; questa arteria, che irrora i tessuti della zona zigomatica e frontale della faccia e la zona parietale del cuoio capelluto, è spesso colpita; l’interessamento di quest’arteria è la causa di una delle complicanza più temibili di questa malattia ovvero la perdita della vista a carico di un occhio. Tale complicanza insorge spesso acutamente o con pochi e fugaci preavvisi quali offuscamento della vista, amaurosi (perdita temporanea e fugace della vista), allucinazioni visive, diplopia. Questi sintomi devono essere considerati una vera e propria emergenza medica in quanto il pronto intervento terapeutico è in grado di evitare la perdita completa della vista che, quando instaurata, è quasi sempre irreversibile.
L’interessamento dell’arteria temporale dà ragione della sintomatologia che spesso lamentano i pazienti: cefalea intensa di nuova insorgenza; dolore al solo sfioramento del cuoio capelluto, dolore a pettinarsi, dolore alle guance e/o alla lingua e/o al faringe durante la masticazione e/o deglutizione. I sintomi oculari come detto possono essere amaurosi, diplopia, allucinazioni visive. Oltre a questi sintomi i pazienti possono presentare una sintomatologia sistemica, aspecifica: febbre, malessere, anemia, perdita di peso.
I sintomi legati all’interessamento dei vasi cranici sono quelli che ci permettono di porre la diagnosi. Anche se l’arteria temporale è quella più frequentemente colpita,  possono essere coinvolte anche altre arterie e, in base alle arterie interessate, avremo dei sintomi diversi. Dall’arco aortico difatti originano le arterie che irrorano gli arti superiori che, se colpite potranno determinare dolore e/o stanchezza alle braccia quando vengono sottoposte ad uno sforzo anche se di lieve entità; originano le arterie che irrorano il cervello che se colpite potranno determinare ictus o vertigini o sordità o agitazione o stato confusionale. Le arterie che irrorano l’intestino possono determinare un infarto intestinale: in tal caso i paziente lamenteranno un forte dolore addominale. E’ stato descritto  anche l’interessamento delle arterie coronarie in pazienti che hanno avuto un infarto miocardio acuto. Più raramente vi può essere l’interessamento delle arterie degli arti inferiori che potrà determinare dolore alle gambe per sforzi di media o lieve entità.
La sintomatologia  che può riferire un paziente affetto da arterite giganto cellulare può essere quindi estremamente varia.
La dimostrazione dell’impegno arterioso di diverse arterie, oltre a quelle che irrorano il cranio, ci è stata data negli ultimi anni da indagini strumentali quali la risonanza magnetica, l’ecografia ed infine la PET-TC. In un 10-15% dei pazienti è interessata l’arteria ascellare e meno frequentemente le arterie degli arti inferiori. L’interessamento di quest’ultimo distretto è meno studiato in quanto spesso il coinvolgimento delle arterie degli arti inferiori decorre per un lungo periodo asintomatico. I  pazienti  con pregressa storia di polimialgia reumatica hanno un rischio aumentato di due volte e mezzo di andare incontro ad arteriopatia obiliterante degli arti inferiori; a questo punto è legittimo il dubbio se attribuire questo a un processo aterosclerotico o bensì ad una vasculite subclinica che con il tempo ha esitato in lesioni arteriose stenotiche con conseguente mancata irrorazione dei tessuti.
Studi recenti hanno mostrato che vi sono diversi sottogruppi di malattia. I pazienti con una arterite delle arterie temporali con i classici sintomi (cefalea intensa, dolore a masticare), hanno con più frequenza un coinvolgimento oculare, mentre coloro che presentano un interessamento di altri rami dell’aorta quali le succlavie, hanno con meno frequenza un coinvolgimento dell’occhio;  in questi paziente la biopsia dell’arteria temporale risulta più frequentemente negativa. 
Studi sul tipo e diversità dell’infiltrato infiammatorio nei pazienti hanno documentato una maggiore presenza di cellule giganti (cellule con più nuclei) nei pazienti con complicanza visive rispetto agli altri.
 Atttualmente disponiamo di metodiche strumentali che ci consentono di apprezzare l’infiammazione della parete arteriosa; queste sono estremamente utili  sia nella diagnosi della malattia sia   nel definire l’estensione di quest’ultima. L’interessamento di alcuni vasi rispetto ad altri comporta un diverso comportamento clinico della malattia e pertanto queste metodiche sono anche utili nel prevedere l’evoluzione della malattia stessa permettendo pertanto anche una valutazione prognostica. Le metodiche per immagine  utilizzabili  sono la risonanza magnetica, l’ecografia e la PET-TC;  l’angiografia è stata soppiantata dalle prime tre metodiche ed è riservata solo a casi selezionati.
 L’ecografia in questi ultimi anni ha mostrato essere una metodica discretamente sensibile e molto specifica nel dimostrare l’infiammazione della parete arteriosa dei grandi vasi, in particolare nell’arterite giganto cellulare, dove il processo infiammatorio è iperacuto; vi è un ispessimento della parete vasale che all’ecografia appare come un alone nero periarterioso distribuito in modo omogeneo lungo tutto il vaso. Questa malattia determina tipicamente una infiammazione di alcuni tratti della parete arteriosa risparmiandone altri, in altre parole vi sono dei tratti in cui la parete e normale alternati da altri che presentano infiammazione. La possibilità di studiare con l’ecografo lunghi tratti dell’arteria permette di individuare il tratto infiammato e di indirizzare una eventuale biopsia che, se fatta alla cieca, potrebbe risultare falsamente negativa  ne caso venisse biopticata una zona dell’arteria risparmiata dalla malattia.
In conclusione l’ecografia ci consente di fare diagnosi di malattia, studiare più arterie quale la temporale, l’ascellare, la femorale, la poplitea, permettendoci di determinare l’estensione della malattia e il possibile comportamento clinico di questa aiutandoci pertanto a formulare una prognosi.
Non tutte le arterie sono però ben esplorabili con l’ecografo; le arterie difficilmente raggiungibili con l’ecografia, come l’aorta toracica, le mesenteriche ecc,  possono essere studiate con la risonanza e ancor meglio, con la PET-TC.
 Con la risonanza si può apprezzare lo spessore del vaso interessato, che genera  un segnale che aumenta dopo la somministrazione di mezzo di contrasto (Gadolinio);  in questo modo si è in grado di apprezzare l’infiammazione della parete anche dell’arteria temporale quando si utilizza una macchina di risonanza ad alto campo (3 Tesla). La PET-TC ha una sensibilità lievemente maggiore della risonanza. Questo esame ha il vantaggio di associare la TAC alla PET. La prima è una metodica che ci fornisce delle immagini (indagine morfologica), la seconda, invece, è una metodica che rileva l’intensità di utilizzo del glucosio (indagine funzionale). Maggiore è l’attivazione e la moltiplicazione cellulare e maggiore è il consumo di glucosio, un tessuto infiammato è ricco di cellule attive, pertanto, è individuato con la PET che, abbinata alla TAC, ci permette di localizzare il tessuto infiammato. Per la sua caratteristica mentre la PET ha un’ottima sensibilità nel rilevare l’infiammazione a carico dell’aorta dei suoi rami collaterali e delle arterie degli arti superiori e degli arti inferiori non è in grado di rilevare l’infiammazione a livello delle arterie temporali poiché vicine al cervello che, come noto, ha un elevato consumo di glucosio.
Queste metodiche  hanno consentito di dimostrare che l’arterite giganto cellulare non è limitata alle arterie extracraniche, ma può coinvolgere tutti i vasi arteriosi di grande calibro, anche se quelli maggiormente colpiti sono quelli che originano dall’arco dell’aorta che sono quelli che irrorano il cranio e gli arti superiori.
L’arterite giganto cellulare è una malattia che inizia generalmente acutamente è che risponde velocemente alla terapia steroidea, terapia chee è in grado di risolvere i sintomi nel giro di pochissimi giorni. Il paziente, spesso estremamente sofferente, diventa completamente asintomatico in brevissimo tempo. Tipicamente gli indici di flogosi, in particolare la PCR, proteina che aumenta nella infiammazione, torna nei valori normali dopo circa una settimana.
 Il farmaco di prima scelta in questa malattia è pertanto il cortisone che va dato inizialmente a dosi medio alte e diminuito gradatamente nel tempo. Va tenuto presente che, anche se i sintomi scompaiono velocemente, la terapia steroidea deve essere mantenuta a lungo a basse dosi, Se questa viene sospesa troppo precocemente vi è un alto rischio che la malattia recidivi. La terapia va proseguita mediamente per 1-2 anni. Più specificatamente:
- la dose di prednisone iniziale è di 1 mg/Kg/die; tale dosa va mantenuta per un mese e poi scalata gradualmente. Durante la riduzione non va utilizzata terapia a giorni alterni. A tre mesi la dose dovrebbe essere tra i 10 e 15 mg die. Tale dose va poi ridotta molto più lentamente. E’ possibile che, in  una percentuale bassa di pazienti, non sia possibile sospendere il cortisone  per la ricorrenza di malattia. In questi casi i possono essere valutati altri trattamenti, in particolare Methotrexate e i farmaci  biologici (anti TNF alfa e anti IL6). I dati a sostengo di questi trattamenti peraltro sono allo stato attuale delle conoscenza scarsi, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo dei biotecnologici.
La perdita di vista completa è di solito irreversibile; alte dosi di cortisone (1 grammo endovena per tre giorni) potrebbero essere di beneficio in alcuni pazienti, all’esordio dei sintomi oculari.
I pazienti con arterite di Horton hanno un maggior rischio di sviluppare accidenti cardiovascolari e cerebrali. L’addizione alla terapia  di aspirina (75-100 mg die) potrebbe essere di aiuto nella prevenzione di questi eventi. L’introduzione di tale farmaco, con gastroprotezione, potrebbe essere raccomandata valutando la terapia  sul singolo paziente.
Infine, considerata la cronicità della terapia steroidea, va sempre introdotta una protezione dell’osso con calcio, vitamina D ed eventualmente farmaci anti-riassorbitivi.



Punti pratici da ricordare per il sospetto clinico di arterite di Horton  in pazienti di età superiore ai 50 anni.

  • improvvisa insorgenza di cefalea, specie in  regione temporale con dolorabilità della regione temporale o del cuoio capelluto
;

  • disturbi della vista, compresa visione doppia (diplopia), o perdita transitoria del visus
;

  • claudicatio (crampi dolorosi) alla lingua e mandibola alla masticazione;


  • ingrossamento doloroso, assenza di pulsazione, della arteria temporale
;

  • claudicatio (dolore al movimento) degli arti superiori o inferiori  in presenza di VES e PCR elevati e-o di soffi vascolari patologici .