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EmatologiaNews

Linfomi non Hodgkin

By 24 Luglio 2014Gennaio 28th, 2019No Comments

I linfomi non-Hodgkin (LNH) sono un gruppo eterogeneo di neoplasie del sistema emolinfopoetico che hanno origine dai linfociti B o dai linfociti T. Nell’ultima classificazione della World Health Organization (WHO) si annoverano oltre 40 forme di LNH, che differiscono tra di loro per caratteristiche istologiche, biopatologiche e cliniche. I LNH possono essere distinti dal punto di vista clinico-patologico in “aggressivi” e “indolenti”: i primi, caratterizzati da una maggiore aggressività e un decorso rapidamente fatale in assenza di trattamento, sono potenzialmente guaribili, mentre i secondi hanno un decorso clinico molto più subdolo e lento, presentando un tipico andamento cronico-recidivante con minori possibilità di definitiva eradicazione.

Epidemiologia: i LNH sono nel loro complesso la neoplasia ematologica più frequente e costituiscono il 3% di tutti i tumori maligni. L’incidenza dei LNH è in continua crescita e aumenta all’aumentare dell’età, raggiungendo un picco dopo i 70 anni, l’età media di insorgenza è 65 anni; è bene tuttavia ricordare che alcuni LNH aggressivi tendono ad interessare soggetti più giovani con una mediana di incidenza intorno ai 40 anni.

Eziopatogenesi: gli agenti eziologici dei LNH rimangono ad oggi per gran parte sconosciuti; è comunque possibile ricordare tra i fattori eziologici che possono concorrere alla patogenesi di queste malattie le radiazioni, il benzene e i pesticidi. Sono stati inoltre riconosciuti come fattori eziologici predisponenti allo sviluppo dei LNH alcuni agenti microbiologici: in particolar modo il virus di Epstein-Barr (EBV) per la forma endemica del linfoma di Burkitt o per i linfomi EBV correlati, il virus dell’Epatite B e C per lo sviluppo di alcuni linfomi indolenti in pazienti portatori o affetti da epatite, l’Helicobacter Pylorii per i LNH gastrici, lo Human T cell Leukemia-Lymphoma Virus 1 per il linfoma a cellule T dell’adulto e il batterio Clamydia Trachomatis per i linfomi che interessano la congiuntiva.

Diagnosi: la diagnosi di LNH viene effettuata mediante biopsia escissionale di un linfonodo con successivo esame istologico; l’adeguata esecuzione della biopsia e l’adeguata conservazione e lavorazione del preparato sono fondamentali per un’ accurata diagnosi. Le tecniche di agoaspirato linfonodale non assicurano assolutamente l’attendibilità della diagnosi. Secondo la classificazione della WHO del 2008 è possibile distinguere oltre 40 diversi tipi di linfoma, la cui esatta tipizzazione isto-patologica è fondamentale per il corretto inquadramento clinico e per impostare una terapia idonea. Sommariamente è possibile distinguere quattro gruppi di linfomi:

1) linfomi di derivazione dai precursori dei linfociti B;

2) linfomi di derivazione dai precursori dei linfociti T;

3) linfomi di derivazione dalle cellule B mature;

4) linfomi di derivazione dalle cellule T/NK mature.

Manifestazioni cliniche: il sintomo più comune dei LNH è il riscontro di una o più tumefazioni linfonodali. Nella maggior parte dei casi i LNH aggressivi sono caratterizzati da un esordio brusco caratterizzato da una rapida crescita delle tumefazioni linfonodali, dal coinvolgimento di diverse aree linfonodali e dalla frequente presenza di sintomi sistemici (febbre, spossatezza, perdita di peso non attribuibile a una dieta specifica, sudorazioni profuse prevalentemente notturne). Nel 30-40% dei casi la malattia può interessare inoltre sedi extra-nodali (di pertinenza non linfonodale) e virtualmente tutti gli organi possono essere coinvolti, compreso il sistema nervoso centrale (SNC). I LNH indolenti sono invece caratterizzati generalmente da un decorso clinico subdolo e sono generalmente asintomatici, presentandosi comunemente con singole o diffuse tumefazioni linfonodali, in assenza di sintomi di rilievo associati. Inoltre in tutti i pazienti può essere presente un deficit dell’immunità cellulo-mediata che può interessare sia i linfociti B che i linfociti T e che espone i pazienti ad un elevato rischio infettivo, soprattutto durante il trattamento. E’ necessario inoltre ricordare che in alcuni casi i LNH possono localizzarsi in sedi extra-nodali in assenza di interessamento linfonodale (es. linfomi primitivi del SNC, linfomi primitivi del testicolo, linfomi primitivi ossei, linfomi gastrici ecc…).

Stadiazione: una volta effettuata la diagnosi, il paziente deve essere sottoposto a differenti esami clinico-strumentali al fine di stabilire lo stadio della malattia (cioè la sua estensione) e di individuare i fattori prognostici.

Per tale motivo il paziente sarà sottoposto a:

  • Esami ematici completi, compresi indici di flogosi (VES, Proteina C reattiva, beta2-microglobulina, ferritina, funzionalità tiroidea);
  • Radiografia del torace standard in 2 proiezioni;
  • TC total body con mdc;
  • Tomografia ad emissione di positroni (PET);
  • Biopsia osteomidollare bilaterale (per escludere eventuale coinvolgimento del midollo osseo);
  • Rachicentesi diagnostica (solo nei linfomi aggressivi);
  • Visita ORL;
  • EGDS e colonscopia (solo nei casi di LNH extra-nodali).

Il più comune sistema di stadiazione attualmente in uso è quello di Ann-Arbor, che prevede 4 diversi stadi:
STADIO I interessamento di un solo linfonodo o di una sola stazione linfatica (uno o più linfonodi contigui);
STADIO II interessamento di due o più stazioni linfonodali sopra o sotto il diaframma;
STADIO III interessamento di stazioni linfonodali sopra e sotto il diaframma;
STADIO IV interessamento di strutture extralinfonodali con o senza coinvolgimento linfonodale.
Si distinguono poi in stadio A o B per l’assenza o la presenza di sintomi sistemici (febbre, dimagrimento e sudorazione). La lettera S viene usata per indicare il coinvolgimento splenico. Il termine Bulky viene usato per identificare una grossa massa tumorale (massa mediastinica il cui diametro è > di un terzo del diametro trasverso del torace calcolato all’altezza della quinta o sesta vertebra dorsale ad una radiografia del torace standard oppure massa linfonodale di dimensioni > 10 cm).

Fattori prognostici: i principali fattori prognostici sfavorevoli per i LNH sono l’età avanzata, il basso Performance Status (cioè condizioni cliniche scadute alla diagnosi), gli elevati livelli sierici di LDH, lo stadio avanzato (III-IV), la presenza di sedi extra-nodali, la presenza di un elevato numero di sedi linfonodali coinvolte e, in alcuni tipi di linfomi, l’elevato numero di globuli bianchi alla diagnosi. I diversi fattori prognostici vengono utilizzati per calcolare l’indice prognostico che varia a seconda del tipo di linfoma. Per i linfomi aggressivi viene utilizzato l’International Prognostic Index (IPI), per il linfomi follicolari il Follicular Lymphoma International Prognostic Index (FLIPI) e per i linfomi mantellari il Mantle Cell Lymphoma International Prognostic Index (MIPI).

Terapia: il trattamento dei LNH è basato sulla chemioterapia, sulla radioterapia e sull’immunoterapia con anticorpi monoclonali. In considerazione della notevole eterogeneità clinico-patologica dei LNH di seguito descriveremo brevemente alcuni sottotipi con i relativi trattamenti specifici.

Linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL): Rappresenta il più frequente linfoma diagnosticato nei paesi occidentali, costituendo circa il 35-40% di tutti i linfomi a cellule B; è un linfoma aggressivo che si presenta alla diagnosi con un interessamento linfonodale esteso, con sintomi sistemici e con frequente localizzazione in sede extra-nodale (40% dei casi). La sede extra-nodale più frequentemente coinvolta alla diagnosi è rappresentata dal sistema gastrointestinale, ma virtualmente tutti gli organi possono essere interessati, compreso il SNC. L’età mediana di insorgenza è intorno ai 65 anni. Esistono alcune varianti del DLBCL, con diverse caratteristiche cliniche e isto-patologiche; le principali sono: il DLBCL ricco in linfociti T, il linfoma primitivo del mediastino, il linfoma primitivo del SNC, il linfoma EBV correlato dell’anziano e il linfoma primitivo cutaneo. La terapia di prima linea del DLBCL è costituita da uno schema di chemio-immunoterapia chiamato R-CHOP (Rituximab, Ciclofosfamide, Doxorubicina, Vincristina, Prednisone). Il Rituximab è un anticorpo monoclonale che agisce contro una molecola di superficie espressa dalle cellule neoplastiche e dai linfociti B normali che si chiama CD20: il suo utilizzo, diffuso da circa 10 anni, ha permesso di ottenere un notevole miglioramento delle risposte cliniche e della sopravvivenza nei pazienti affetti da questa malattia. Terapia degli stadi precoci (I-II): 3-4 cicli di R-CHOP seguiti da radioterapia sulla regione linfonodale coinvolta “Involved Field RadioTherapy”) 35-40 Gy. Terapia degli stadi avanzati (III-IV): 6-8 cicli di R-CHOP seguiti da eventuale radioterapia in caso di presenza alla diagnosi di massa bulky. Nei casi con presentazione clinica particolarmente aggressiva o di coinvolgimento da parte della malattia di particolari sedi extra-nodali (es. palato, orbite, seni paranasali, midollo osseo, tessuti paravertebrali) è inoltre raccomandato effettuare nel corso del trattamento almeno 4 rachicentesi medicate (infusioni di chemioterapici direttamente nel liquido cefalo-rachidiano per mezzo della puntura lombare), al fine di prevenire una eventuale localizzazione meningea da parte del linfoma.
Globalmente, grazie a questa terapia, circa il 70-75% dei pazienti affetti da DBLCL ottiene una remissione completa al termine del trattamento e circa il 50-60% la guarigione da questa malattia; tali percentuali sono ovviamente variabili a seconda dell’estensione della malattia alla diagnosi e della presenza o meno di fattori prognostici sfavorevoli. Nei pazienti giovani che vanno incontro ad una ricaduta è possibile effettuare una chemio-immunoterapia di seconda linea (es. R-IEV, R-DHAP) con raccolta di cellule staminali ematopoietiche (CSE) e successivo trapianto autologo. Per i pazienti che presentano una ricaduta di malattia dopo trapianto autologo, il trapianto allogenico di CSE (da donatore familiare compatibile o da registro) può risultare una alternativa valida. Per i pazienti anziani in recidiva di malattia non è possibile prendere in considerazione alcun approccio trapiantologico ma è possibile effettuare una polichemioterapia di seconda linea.
Linfoma follicolare (LF) Rappresenta circa 1/3 di tutti i linfomi a cellule B e circa il 20-25% di tutti i linfomi di nuova diagnosi nei paesi occidentali. E’ un linfoma tipicamente indolente, con un’età mediana di insorgenza intorno ai 70 anni e con un tipico andamento cronico-recidivante e minori possibilità di definitiva eradicazione della malattia anche se la mediana di sopravvivenza dalla diagnosi può superare i 10 anni dalla diagnosi.
Il LF presenta delle caratteristiche istologiche peculiari, per il basso indice proliferativo e per la tendenza a sovvertire la normale architettura del linfonodo formando dei tipici follicoli caratterizzati dalla proliferazione di cellule neoplastiche chiamate centrociti e centroblasti: in base alla modalità di crescita e alle caratteristiche morfologiche delle cellule neoplastiche questi linfomi si dividono in 3 gradi, che riflettono una maggiore o minore aggressività della neoplasia. Da un di vista patogenetico le cellule del LF sono caratterizzate da una tipica anomalia cromosomica, la traslocazione tra il cromosoma 14 e il cromosoma 18, che porta ad un incremento dell’espressione del gene bcl-2 (un gene che controlla la proliferazione cellulare) e che risulta abnormemente espresso nell’85% dei casi di LF.
Da un punto di vista clinico il LF ha un esordio tipicamente subdolo, asintomatico, presentandosi come una singola o una multipla tumefazione linfonodale in assenza di altri sintomi di rilievo. Proprio a causa di questa caratteristica è frequentemente diagnosticato tardivamente in stadio avanzato spesso con coinvolgimento del midollo osseo. Le localizzazioni extra-linfonodali (eccetto il midollo osseo) non sono frequenti. In alcuni casi (20%) il LF può evolvere in una forma di linfoma maggiormente aggressivo (DLBCL).
La terapia del LF viene effettuata solo in presenza di “malattia sintomatica”, ovvero solo nel caso in cui la malattia determini dei sintomi o nel caso in cui siano presenti alcune specifiche caratteristiche clinico-laboratoristiche (es. localizzazioni extra-linfonodali, masse bulky, sintomi sistemici, compressione di organi da parte della massa neoplastica, aumentati livelli di LDH, versamenti neoplastici, coinvolgimento della milza e VES > 20). Se alla diagnosi non sono presenti queste caratteristiche, la migliore strategia è quella nota con il nome di “watchful waiting” cioè una stretta osservazione al fine di scegliere il momento più adatto per iniziare un trattamento. E’ noto infatti che iniziare un trattamento di un LF senza che siano presenti i criteri per farlo non determina alcun giovamento in termini di controllo della malattia e di sopravvivenza globale.
Terapia degli stadi precoci in assenza di fattori prognostici sfavorevoli (I-II): la radioterapia sulla regione linfonodale coinvolta (“Involved Field RadioTherapy”) 30-36 Gy è sufficiente come terapia di prima linea in questi pazienti.
Terapia degli stadi precoci in presenza di fattori prognostici sfavorevoli (I-II): in questo caso, la terapia è costituita da 3 cicli di R-CHOP seguiti da radioterapia sulla regione linfonodale coinvolta (“Involved Field RadioTherapy”) 30-36 Gy.
Terapia degli stadi avanzati (III-IV): sono necessari 6-8 cicli di R-CHOP seguiti da eventuale radioterapia in caso di presenza alla diagnosi di massa bulky. In alternativa si può utilizzare l’associazione Fludarabina, Ciclofosfamide Rituximab (FCR) per 6 cicli associati eventualmente alla radioterapia. Non è raccomandata la profilassi delle localizzazioni del SNC.
Nei pazienti giovani che vanno incontro ad una ricaduta è possibile effettuare una chemio-immunoterapia di seconda linea (es. R-IEV, R-DHAP) con raccolta di CSE e successivo trapianto autologo. Il trapianto allogenico di CSE (da donatore familiare compatibile o da registro) è l’unico trattamento potenzialmente eradicante, ma va riservato a casi selezionati in quanto gravato da una elevata mortalità legata alla procedura. Per i pazienti anziani in recidiva di malattia non è possibile prendere in considerazione alcun approccio trapiantologico ma è possibile effettuare una polichemioterapia di seconda linea, con possibilità ulteriore di controllo della malattia.
E’ necessario inoltre ricordare che molti studi dei gruppi cooperativi internazionali hanno permesso di dimostrare l’efficacia dell’utilizzo della terapia di mantenimento con Rituximab (ogni 2 mesi) al termine del trattamento, al fine di prolungare il tempo libero da malattia, sia dopo R-CHOP che dopo FCR.
Un cenno infine sulla possibilità attuale di monitorare la malattia minima residua mediante la ricerca su sangue midollare della proteina bcl-2 con tecniche di biologia molecolare: molti studi hanno infatti mostrato che la negatività del bcl-2 su sangue midollare è un fattore predittivo di migliore andamento clinico nei paziento con LF.
Linfoma mantellare (MCL “Mantle Cell Lymphoma”) Rappresenta il 7-8% di tutti i linfomi, ha una mediana di insorgenza intorno ai 50 anni e viene attualmente classificato tra i linfomi aggressivi. Alla diagnosi si presenta tipicamente con localizzazioni linfonodali estese, frequente coinvolgimento del midollo osseo con eventuale leucemizzazione periferica e localizzazioni extra-linfonodali, tipicamente cutanee e gastrointestinali. Le cellule del MCL sono caratterizzate dalla peculiare presenza della traslocazione tra il cromosoma 11 e il cromosoma 14 che determina l’incremento dell’espressione di una proteina regolatoria del ciclo cellulare nota come Ciclina D1. Anche in questo caso è possibile monitorare la presenza di questa proteina nel sangue midollare mediante tecniche di biologia molecolare: pazienti in remissione completa molecolare (cioè pazienti che hanno ottenuto oltre alla risposta clinica anche la completa negativizzazione dell’espressione di questa proteina a livello midollare dopo il trattamento) hanno un andamento clinico nettamente migliore.
E’ ormai noto che il trattamento convenzionale con R-CHOP espone i pazienti ad una inevitabile ricaduta e ad una ridotta sopravvivenza mediana; per tale motivo molti gruppi internazionali hanno messo a punto schemi di trattamento che mirano ad intensificare la terapia del MCL al fine di ottenere una minore percentuale di ricadute.
Attualmente non esiste un trattamento standard. Nei pazienti giovani gli schemi più frequentemente utilizzati sono: 1) 6 cicli di R-CHOP seguiti da raccolta di CSE e successivo trapianto autologo; 2) 3 cicli di R-CHOP alternati a 3 cicli di R-DHAP (Rituximab, Desametasone, Cisplatino, Citarabina ad alte dosi) seguiti da raccolta CSE e successivo trapianto autologo; 3) 6 cicli di R-HyperCVAD (Rituximab, Ciclofosfamide, Vincristina, Desametazone, Doxorubicina, alte dosi di Methotrexate e Citarabina) seguiti da raccolta di CSE e successivo trapianto autologo.
Nei pazienti che presentano una recidiva di malattia dopo trapianto autologo è possibile prendere in considerazione alcuni nuovi farmaci (es. Bendamustina, Lenalidomide) e, in alcuni casi selezionati, il trapianto allogenico di CSE (da donatore familiare o da registro).
Nei pazienti anziani il trattamento standard è invece costituito da 6 cicli di R-CHOP seguiti da eventuale radioterapia “Involveld Field” sulla massa bulky.
Linfomi a cellule T (LNH-T): Sono un gruppo di linfomi rari ed eterogenei che originano dai precursori dei linfociti T, dai linfociti T maturi e dalle cellule natural-killer (NK). La frequenza di tali linfomi varia in base alla localizzazione geografica e all’origine etnica. Nei paesi occidentali, rimangono per lo più malattie rare, costituendo nel loro insieme non più del 10-15% di tutti i linfomi, con una prognosi grave. La classificazione WHO 2008 ha identificato un elevato numero di istotipi differenti, che presentano caratteristiche cliniche e patologiche diverse tra di loro. Sebbene non esista attualmente un trattamento standard di prima linea, la chemioterapia più utilizzata è quella secondo lo schema CHOP; la maggior parte dei gruppi internazionali utilizza una strategia di intensificazione di trattamento in prima linea basato sull’utilizzo di alte dosi di Citarabina, seguite dalla raccolta delle CSE con successivo trapianto autologo.
Nuovi farmaci proposti per il trattamento dei linfomi a cellule T sono: la gemcitabina, un analogo nucleotidico, usata da sola o in combinazione con altri farmaci; un’immunotossina diretta contro il recettore dell’interleukina 2 (Denileukin); gli anticorpi monoclonali anti CD52 (Alentuzumab) e anti CD25. In fase di studio è inoltre il Dasatinib, che sembrerebbe avere un ruolo nel bloccare l’espressione del T-Cell Receptor (TCR).